Ok formica

Era un inverno rigido e freddo per la cicala, abituata com’era alle lunghe giornate soleggiate del clima subtropicale. Si fece coraggio e bussò alla porta della formica.

“Buonasera signora formica” disse.

Lo accolse una grossa formica operaia, che si muoveva sonnacchiosa nel tepore della tana.

“Buonasera cicala, prego, si accomodi”

La tana era una di quelle costruite ad opera d’arte, secondo criteri antichi come il tempo, dalle operose formiche.

“Operose si fa per dire, lei lo sa che il 20% delle formiche fa più di metà di tutto il lavoro dell’ intero formicaio?”

Beh sì, ma questa è la distribuzione di Pareto, é applicabile un po’ ovunque, sa? Sono sicura che il 20% delle spighe contiene più della metà del grano che mangiamo, e così, similmente, gran parte di tutti gli effetti può essere ridotta ad un numero ristretto di cause, rispose la cicala.

“Anche se ciò cozza con la visuale comune, che ci vede tutte dedite al lavoro, ci sono molte inefficienze nella nostra società, ci sono formiche che dormicchiano invece di lavorare, formiche che se la prendono con comodo, insomma, ben poco cibo arriva alla monarca”

Però, che bella tana. È un 16000 locale?

“16 756 locale, però una buona parte è soppalcata, sa, la prole…”

Mi sorprende. Come ha fatto a permettersi una tale magione col salario da operaia?

“Dopo la guerra alle termiti tutto il formicaio andava ricostruito, quindi c’erano ottime opportunità lavorative. Poi, la tana è stata edificata durante il boom, qua era tutta campagna, sa? Ma lei non è di qui immagino”

Siamo lavoratori stagionali, siamo assunti fino all’autunno, poi ci spostiamo in un posto più caldo, per sfuggire al gelo.

“È la flexsecurity! Oggi bisogna essere dinamici, intraprendenti, disposti al compromesso!”

Eh.. Io mi chiedevo se avesse del grano da darmi, sa, è inverno…

“Eh no! Io qua il grano me lo sono sudato. Che tempi, signora, nessuno ghe s’ha voglia di lavorare”

La cicala va via, una voce dalla tana chiede “chi era?”

“Ma niente” rispose la formica. “Mi sa che l’è un terun”.

Sex and the Polis: Lisistrata, ovvero fate l’amore, non fate la guerra

Comincia qui una nuova fantastica rubrica dedicata, come mostra chiaram\nente il nome, all’esegesi biblica! Ah no, è antichità e sesso. Peccato, ci tenevo a parlare di Torah…

La nostra visione del passato è affetta da molti pregiudizi. Abituati a considerare il passato un tempo di morigeratezza (almeno quella sessuale), religione e oscurantismo, dimentichiamo che anche nell’ “oscuro” medioevo, tra una guerra, una messa, un’invasione barbarica e una crociata, la gente scopava allegramente, e liberamente.

Ma partiamo con ordine, dalla Grecia, e più precisamente dalla Lisistrata di Aristofane.

Aubrey Beardsley, illustrazione per la Lysistrata di Aristofane

La Lisistrata è una commedia scritta e rappresentata in piena guerra del Peloponneso, in cui le Ateniesi, capeggiate appunto da Lisistrata (la “dissolutrice di eserciti”) decidono di metter fine alle ostilità tramite uno sciopero del sesso, obbligando quindi i mariti ad una scelta apparentemente facile, tra amore e guerra (gli eterni eros e thanatos!). La commedia si conclude con i festeggiamenti per la ritrovata pace e con gli attori in erezione, come in un qualsiasi film dei fratelli Vanzina, insomma.

Norman Lindsay, illustrazione per la Lysistrata di Aristofane

La trama della commedia non era del tutto frutto della fantasia di Aristofane: era ispirata da una rivolta tutta femminile avvenuta molto tempo prima ed in un’altra città, in cui le donne, trascurate da un decennio di guerra ininterrotta, si ribellarono alla guerra e pretesero il ritorno a casa dei soldati.

Quale covo di pazzi sanguinari avrebbe preferito un decennio di costante guerra al conforto delle loro donne?

Ebbene sì, avete indovinato.

Sparta (“la dispersa”), o meglio, Lacedemone, era atipica tra le poleis greche per numerosi fattori, uno dei quali era il ruolo di relativa parità tra uomo e donna.

Essendo fondamentalmente una piccola aristocrazia basata sull’ oppressione di un’enorme massa di schiavi, gli Iloti, era una società in guerra civile permanente, una guerra che poteva vincere solo tramite il sacrificio di ogni cittadino al bene collettivo.

A gravosi doveri condivisi da entrambi i sessi corrispondevano diritti condivisi ed una generale libertà sessuale che attirava le critiche e lo scandalo degli altri greci. Gli Spartani, dominatori di tutta la Grecia, erano a loro volta dominati dalle loro donne, così almeno insinuavano le malelingue.

Mentre gli Spartani si divertivano ormai da anni a fare la guerra ai Messeni, popolazione confinante da loro schiavizzata, le Spartane intimarono la fine delle ostilità. Erano sole, e non solo si stavano annoiando, la stessa città, senza nuove nascite, si sarebbe estinta.

Afrodite callipigia (“dal bel culo”), copia romana di un originale greco

Gli Spartani, letta la missiva, decisero di inviare a casa i ragazzi più giovani, poco utili alla guerra, mentre loro continuavano ad occuparsi di cose serie, ligi al loro motto non ufficiale “fate la guerra non fate l’amore”.

Da questi ragazzini, che compirono tutto sommato con altrettanta devozione il loro dovere (sempre per la maggiore gloria di Sparta) e dalle Spartane nacquero numerosi figli, i partheniai (i “figli di vergini”). Essendo figli illegittimi e dopo un tentato colpo di stato, diventati ormai una seccatura per la città, furono mandati lontano, a fondare l’unica colonia spartana in Italia, Taranto.